'ORCA TROIA! - L'Iliade di Omero come non l'avete mai letta e come fino ad ora nessuno h
'ORCA TROIA! L'Iliade di Omero come non l'avete mai letta e come fino ad ora nessuno ha mai avuto il coraggio di tradurre dal Greco di Marcus Nolde, traduttor del gran traduttor dei traduttori
LIBRO I Il castigo di Apollo e l'ira di Achille.
Invocazione alla Musa. Crise trattato a pesci in faccia e la dura reazione di Apollo. Si riunisce l'assemblea, Calcante dice la sua. Agamennone e Achille a muso duro. Si decide della sorte delle due fanciulle. L'assemblea si scioglie. Achille, in lacrime, chiede aiuto alla madre Teti. Teti va da Zeus. Il battibecco tra Zeus e la moglie Era. Efesto.
Ma porcaccia di quella vacca schifa! Si può mai sapere chi, fra tutti gli dei dell'Olimpo, si divertì per primo a mettere i due comandanti greci uno contro l'altro, muso contro muso? E tutto ciò… tutto 'sto immane casino, soltanto per il gusto di vedere chi tra loro sarebbe stato quello che avrebbe pisciato più lontano?… Io ho fatto la domanda, ma poiché dalla musa (carattere minuscolo voluto) sono stato considerato manco di striscio, sarò sempre io ha darmi la risposta; in pratica è come se fossimo da Marzullo, il conduttore televisivo dalla folta chioma… Ve lo dico io chi fu! Fu Apollo, proprio lui! Lui montò in bestia; e che bestia! contro il re acheo. Lui inviò una grandinata di merda tale da far cadere sulla sabbia della bella spiaggia di Troia i combattenti greci a mazzi, e tutto ciò senza frizzi e senza lazzi; e la ragione, la causa principe, fu perché Agamennone trattò in malo modo Crise che, per chi non lo sapesse, non era un pirla qualunque ma era, nientemeno, sacerdote del dio Apollo, appunto! Ma andiamo più addentro ai fatti e alle cause, alla pura e semplice verità: Crise si era recato da Agamennone, presso la sua flotta che era stata tirata a secco sulla spiaggia, per chiedere di riavere indietro la figlia Criseide. Crise aveva avuto Criseide quando già si trovava avanti con gli anni… Malelingue narrano che la giovinetta fosse frutto di una relazione extraconiugale tra la moglie di Crise, di cui non si è mai saputo il nome, e un altrettanto anonimo pescivendolo della vicina città di Sigeo; questa è la vera Storia, quella con la ESSE maiuscola, il resto è solo chiacchiericcio da comari! Ma, poiché è per scrivere quell'altra che mi pagano, torniamo alla narrazione ufficiale: La giovanetta, sfiga sua! durante un'azione militare era stata fatta prigioniera e pertanto entrata a pieno titolo a far parte del bottino di guerra; e, poiché la fanciulla era giovane e avvenente, soprattutto nella parte corrispondente al suo fondo schiena, e di Agamennone si poteva dire tutto tranne che fosse un ricchione, il re acheo pensò bene di tenersela; mica era scemo! Crise si presentò all'accampamento dei Greci recando con sé un gran mucchio di bei dindini e molti oggetti di valore; con i quali aveva intenzione di riscattare la figlioletta. Inoltre, per andare più sul sicuro, portò con sé le sacre bende di Apollo avvolte intorno allo scettro d'oro; a cosa gli sarebbero servite non saprei, ma ritengo che sia stato un bene averle portate, non si sa mai, a certi appuntamenti è sempre meglio non andare impreparati. Crise iniziò a supplicare gli Achei, in particolar modo si rivolse ad Agamennone e a suo fratello Menelao, quest'ultimo, come tutti ben sanno, si trovava da quelle parti non in gita turistica ma per una terribile questione di corna, appioppategli miseramente dalla moglie Elena, donna bellissima ma alquanto disinvolta nei costumi… un puttanone, insomma. Crise si rivolse agli Achei cercando subito di arruffianarseli facendo leva sulla loro vanità e così da predisporli al meglio per il buon esito della transazione, dicendo: ˗ Figli di Atreo, (avrebbe preferito chiamarli figli di qualcos'altro, ma si trattenne) che indossate vesti all'ultima moda, dai colori sgargianti e che vi atteggiate a fricchettoni… (come inizio non era male, ma a mio giudizio avrebbe potuto fare meglio) Che gli dei che abitano sull'Olimpo vi concedano di radere al suolo la città di Priamo e di tornarvene a casa vostra sani e salvi, fischiettanti, e con le tasche piene di denari! In fondo, a me poco importa della pulciosa città di Troia!… Ma fatemi la cortesia di restituirmi la mia diletta figliola in cambio di tutti questi ricchi e lucenti tesori, ˗ mostrandoli, ˗ che come potete ben vedere non è roba da poco… e un consiglio vi voglio dare… se non siete proprio dei minchioni, abbiate riguardo del volere di Apollo arciere, figlio di Zeus. Alle parole di Crise e ancor più alla vista di quel piccolo tesoro, seguirono entusiastici applausi, fischi e altre manifestazioni di giubilo da parte dei Greci che avevano fatto capannello intorno; tutti furono concordi a portare in palmo di mano il sacerdote e accettare il ricco bottino; tutti ad eccezione di Agamennone il quale, incurante delle proteste dei propri sudditi, cominciò a inveire villanamente contro di lui: ˗ Stammi a sentire, stronzone di un biascicamoccoli… T'avverto: che non ti riveda ancora gironzolare intorno a queste navi come un ratto in una dispensa! Per impressionarmi ti sei portato dietro lo scettro e le bende del tuo amato principale, ma sappi che a uno come me ben altro ci vuole per fargli strizzare il culo. Uh, che paura! Tremo tutto… Non ne ho manco per le balle di liberare tua figlia… la porterò ad Argo, nel mio palazzo, a far da serva, e di tanto in tanto, quando mi scatterà la fregola me la ingropperò, cosa che, a dire il vero, ho già fatto in questi giorni, e non posso negare che mi abbia dato grande soddisfazione… Quando me ne sarò stancato, forse ne potremo riparlare. E ora levati velocemente dai coglioni se vuoi tornare a casa tutto intero e non in tanti tocchettini. Crise comprese che il re faceva sul serio; mica balle! ed ebbe paura che quello sguainasse la spada e lo affettasse come una zucchina, pertanto, seppur a malincuore, si allontanò con la coda tra le gambe. Era sulla via del ritorno e, mentre camminava a capo chino e con passo lento e strascicato, continuava a imprecare contro quel prepotente e villanzone di Agamennone… a un tratto gli venne in mente, brillante idea! di rivolgere una supplica al divino Apollo, figlio di Latona: ˗ Ascoltami, dio dall'arco d'argento! Tu che proteggi la bella città di Crisa e la virtuosa sorella di Priamo, Cilla, tu che sei il sovrano dell'isola di Tenedo, tu, che tra i tanti tuoi meriti hai quello di aver liberato la Troade dai topi che la infestavano… Io ho sempre e senza badare a spese, a volte addirittura di tasca mia, adornato di graziosi ramoscelli fioriti i luoghi a te più sacri, ho sempre in tuo onore gettato sul fuoco ottimi fianchi di capre e giumente… pertanto esaudisci il mio desiderio: che i Greci piangano copiose lacrime a causa delle tue saette, e che vadino (sic) a fare in culo! La garbata preghiera giunse alle orecchie di Apollo, e lo trovò mentre era impegnato a percorrere il cielo a bordo di un cocchio d'oro e tempestato di pietre preziose, trainato da quattro cavalli emananti lunghe fiamme dalle narici. Il dio giunse a terra, incazzato oltre misura per aver appreso di quella mancanza di rispetto nei confronti di un suo sacerdote. Avanzò con arco a tracolla e la faretra ancora chiusa. Ai primi passi le frecce battendogli sulla spalla tintinnarono; era scuro in volto, come la notte, in pratica era incazzato nero. Si pose a grande distanza dalle navi degli Achei e scoccò la prima freccia; si udì uno spaventoso fruscio provenire dall'arco d'argento. Dapprima colpì i cavalli e i cani: nitriti e guaiti; poi passò agli uomini: bestemmie; e le aguzze frecce ne fecero cadere a mucchi. Sulla postazione achea le frecce caddero per nove giorni di fila; il decimo giorno Achille, che non ne poteva più di tutto quello strepito e che da giorni manco si poteva concedere il lusso di andare a cagare dietro un cespuglio senza correre il rischio di essere infilzato, convocò l'assemblea su consiglio di Era, la dea dalle candide braccia, la quale aveva provato pietà per i malcapitati Achei. In mezzo al consiglio Achille si alzò dalla sua seggiola e disse: ˗ Agamennone, io credo che da come si stanno mettendo le cose, cioè male, non ci rimanga che di tornarcene a casetta nostra, sempre che riusciamo a salvare la pellaccia; perché se alla guerra si aggiunge il flagello di un dio son cazzi! Anche se un'idea io l'avrei: interroghiamo un indovino, un sacerdote, qualcuno che sappia interpretare i sogni e magari darci un terno secco sulla ruota di Cartagine, così da sapere perché Apollo ce l'abbia tanto con noi, se ci incolpa di non aver detto le preghierine della sera oppure s'è incazzato perché siamo stati sparagnini nell'offrirgli sacrifici; non sia mai che allestendo in suo onore un fumante e aromatico barbecue di costolette d'agnello e cosciotti scelti di capra faccia cessare 'sto casino, ˗ e dopo aver detto ciò Achille si rimise a sedere. Subito schizzò in piedi l'indovino Calcante, il figlio di Testore, colui che più di altri ci azzeccava a interpretare il volo degli uccelli, grande conoscitore del presente, del passato e del futuro, sebbene alcune volte sbagliasse i congiuntivi, e che grazie al dono della profezia che gli aveva concesso Apollo, aveva guidato senza che incappassero in pericolo alcuno le navi dei Greci fino a Troia; e davanti a quell'autorevole consesso iniziò a pronunciare sagge parole: ˗ Achille, tu vuoi che io ti spiechi (sic) perché Apollo, il più formidabile a scagliare frecce, sarebbe (sic) tanto e così incazzato con noi? Ebbene, ti accontenterò; ma devi promettermi che mi aiuterai e che non mi lascerai da solo come un pirla e mi parerai il culo, insomma, che non ti tirerai indietro se ci sarà da menar le mani… perché sono quasi sicuro che con quello che ora dirò farò incazzare di brutto il re degli Achei, ˗ indicando furtivamente Agamennone. ˗ È risaputo che quando un potente si adira con un suo sottoposto le cose per quest'ultimo possono finire in vacca, magari non subito, ma prima o poi arrivano i calci in culo e botte sulle gengive. Promettimi che mi aiuterai, altrimenti ciccia! Non se ne farebbe (sic) niente! ˗ Tranquillo, bro! ˗ rispose Achille. ˗ Spara quello che sai! In nome di Apollo che ti ha dato il dono della profezia e che tu ne farebbi (sic) gentilmente partecipi noi tutti… (nota: anche Achille, forse contagiato dallo scorretto eloquio di Calcante, scazza un congiuntivo. Fine nota.) Ti prometto su quanto ho di più caro, cioè sui miei coglioni… che mi si secchino all'istante! che nessuno dei Greci oserà torcerti un capello, neppure Agamennone, che al momento se la tira e dice di essere il più fico tra tutti i generali. Allora il bravo profeta si fece coraggio e disse: ˗ In verità, al dio non sono girate le balle perché abbiamo dimenticato di rivolgergli preghiere o perché siamo stati pidocchiosi nell'offrirgli sacrifici, ma di come poco fa Agamennone ha preso a calci in culo il suo sacerdote, negandogli la restituzione della figlia dietro pagamento di giusto riscatto. Il motivo per cui ci sta facendo un mazzo tanto è questo, e le cose non possono che peggiorare… non ci toglierà il castigo se non si rimanderebbe (sic) la ragazza al padre, e senza nemmeno che egli pagherebbe (sic) il compenso promesso, e non si inviii… mandino cento buoi alla città di Crisa per un solenne sacrificio. Solo allora, forse, riusciremo a placare il dio. Così Calcante terminò di parlare e si sedette. Essendosi sentito chiamare in causa, Agamennone si alzò, alquanto contrariato; gli occhi iniettati di sangue e i coglioni che gli giravano vorticosamente. Dapprima lanciò uno sguardo di fuoco in direzione di Calcante, poi disse: ˗ Menagramo! Faccia da culo che non sei altro! Avessi detto una parola, una parola sola che non fosse una stronzata! Sempre ti è piaciuto annunciare disastri, grandissimo portasfiga! E anche adesso vai dicendo altre sonore cazzate; dici che Apollo con le sue frecce ci sta sforacchiando il culo solo perché io non ho accettato il riscatto per liberare quella sgallettata di Criseide… Che a tutti sia ben chiara una cosa: che la fanciulla è un bel bocconcino, e che sarei un imbecille se non dicessi che è di gran lunga più gnocca di mia moglie Clitemnestra, che pur non è ancora da buttare via… ˗ seguì una grande pausa a effetto da parte di Agamennone, ˗ detto questo, che la zoccoletta torni pure da suo padre, così la faremo finita con questa grandissima rottura di maroni; e che i miei soldati la finiscano di cadere al suolo come tante pere mature! Ma non crediate che io sia l'ultimo dei pirla! Mica voglio esse l'unico tra gli Achei a rimanere a bocca asciutta e a smenarci! Non ho intenzione di farmi fottere un tal pezzo di figa senza avere nulla in cambio… pertanto sarà bene che voi tutti mettiate mano al borsellino. ˗ Agamennone, ˗ gli rispose Achille, ˗ sappiamo bene quanto tu sia ricco e quanti sghei vi siano nei tuoi forzieri, così com'è noto quanto tu sia spilorcio… la cosa infatti non ci sorprende. Ma toglici una curiosità: come potremmo mettere mano al portafoglio dal momento che siamo tutti in bolletta, e che del bottino che ancora non è stato spartito sono rimaste non più di quattro lenticchie? Per caso credi che noi i soldi li grattiamo dai muri? Dammi retta, dai ascolto a un cretino: manda indietro la ragazza e stai certo che in cambio il dio ti permetterà di saccheggiare Troia e ne avrai come ricompensa perlomeno tre o quattro volte tanto. ˗ No, Achille! Non cercare di fottermi con le tue parole! Tu vorresti lasciarmi con un pugno di mosche in mano mentre tu ti sollazzi con gaudenti fanciulle? E va bene! Se è questo che vuoi, lo farò; ma in cambio che mi si dia un'altra prigioniera, e che questa sia di mio gradimento… quello che è giusto è giusto, e che cazzo! E se non mi sarà data, sarò io stesso a prendermela, che appartenga ad Aiace, a Odisseo, o anche a te medesimo, Achille; e che non vi sogniate di protestare; zitti e muti!… ma di ciò sarà meglio parlarne più tardi; ora caliamo in mare una nave e forniamola di esperti rematori. Imbarchiamo le bestie per l'ecatombe e insieme anche Criseide dal bel culo a mandolino… e voglio che a capo della spedizione non vi sia un minchione qualunque ma uno con le palle: Aiace, Idomeneo, Odisseo, o perché no?, tu, Achille, che vanti di essere il più cazzuto tra tutti i guerrieri; così che una volta per tutte placheremo il dio e la finiremo con questa tremenda rottura di coglioni. Achille, guardandolo storto, gli rispose: ˗ È proprio vero che hai la faccia come il culo! Mi chiedo chi ancora possa credere a un cazzone come te! Per quanto mi riguarda io non sono venuto qua a prendere i Troiani a mazzate solo per il gusto di farlo. Loro non mi hanno mai fatto nulla di male; mai hanno anche solo provato a sgraffignarmi vacche, somari, o cavalli; e nemmeno hanno saccheggiato i raccolti della mia bella terra, anche perché, a dirla proprio tutta, tra Ftia e Troia c'è di mezzo il mare e poi ancora le montagne, e non è come fare una passeggiata… Ma abbiamo seguito te e quel gran cornuto di tuo fratello Menelao perché aveste il vostro tornaconto; ma di ciò tu te ne sbatti le palle, e hai anche il coraggio di minacciarmi di portarmi via il premio che mi diedero gli Achei, senza riguardo al mazzo tanto che mi sono fatto per meritarlo. Del resto ho già capito che quando accadrà che i Greci conquisteranno la ricca città di Troia a me rimarranno le briciole e me ne tornerò scornato alla mia nave, sebbene io sia stato quello che più s'è dato da fare a menar le mani. Pertanto me ne tornerò a Ftia… molto meglio che rimanere qui a farti diventar ricco e a reggere il bordo della tua bella giacchetta. ˗ Se ti fa piacere, vattene pure! Smamma! Non sarò io di certo a trattenerti. Al mio fianco vi saranno ben altri eroi che mi accompagneranno e, tra tutti, il primo, il giusto Zeus. Lasciatelo dire, tra tutti i re tu sei quello che mi sta più qui, sul cazzo, ˗ afferrandosi a una spanna di sotto della cintura dei calzoni, ˗ tu, che desideri sempre le contese, le zuffe e le battaglie… ma se sei invincibile non è per merito tuo ma perché v'è stato l'intervento di un dio… bella forza! Così son capaci tutti. Ora vattene! Prendi il largo con le tue navi insieme ai tuoi soldati, e tornatene a casa, a governare su quei coglionazzi dei Mirmidoni. Io ti considero meno di una merdina di mosca e rido dei tuoi scatti d'ira… e stammi a sentire: poiché Apollo ha intenzione di punirmi se non restituisco Criseide, ebbene, così sia! La rimanderò a quel suo padre bacchettone a bordo d'una delle mie navi, accompagnata dagli uomini a me più fidati. Ma in cambio voglio quella bella prigioniera che tieni nella tua tenda, la figlia di Briseo; tanto perché sia chiaro che io sono il capo in testa e che tu non conti un cazzo… e che a qualcuno dei tuoi non venga in mente di mettersi in mezzo perché è certo che gli romperò il culo. A quelle parole Achille s'incazzò come una bestia. Differenti pensieri presero a rimescolarsi nel suo irsuto petto: se sguainare la spada e infilzare come un tordo re Agamennone, o provare a darsi una calmata e cercare di contenere il giramento di coglioni. Sebbene fosse ancora indeciso sul da farsi, la sua mano andò alla spada scintillante, e con un movimento deciso la estrasse dalla guaina di pelle a marchio Gucci, facente parte dell'ultima collezione Autunno-Inverno, anno 752 A.C. Atena, che aveva assistito a tutta la scena, ben comprese che stava per scoppiare un gran casino, cui sarebbe stato difficile in seguito mettere una pezza, e in picchiata scese giù dal cielo, sollecitata per di più dalla sua collega la dea Era, la quale aveva a cuore entrambi i comandanti e non voleva che si scannassero uno con l'altro. Atena gli arrivò da dietro, e prese Achille per i biondi capelli, nascosta alla vista di tutti e solo a lui palese. Si stupì Achille, trasalì, e disse anche: "Oh, che cazzo!". Si voltò, e subito riconobbe la dea che lo guardava con sguardo di fuoco. Achille si rivolse a lei chiamandola per nome: ˗ Atena, che ci fai qui,? Sei forse venuta a renderti conto di che pezzo di stronzo sia Agamennone? È cosa che dovresti già sapere… come dovresti già sapere che ora io avrò il piacere con questa spada di aprirlo in due come una mela. ˗ Stai calmino! ˗ gli disse la dea dagli occhi azzurri. ˗ Sono scesa giù dal cielo per evitare che tu faccia una delle tue solite cazzate, e sarebbe bene che mi prestassi ascolto una volta tanto. È stata Era a mandarmi. Era che ha a cuore la sorte di voi due. Suvvia, riponi la spada e risolvi la questione a parole, in maniera civile! Ti posso assicurare che un giorno avrai soddisfazione, tre volte tanta, che ti farà dimenticare questo affronto. Ora datti una calmata, e obbedisci! ˗ O dea, seguirò il tuo consiglio, sebbene mi stiano girando i coglioni come mai mi era capitato prima. Credo che ciò sia la cosa migliore: è favorito dagli dei chi a loro obbedisce, questo lo so ed è bene che lo tenga a mente, ˗ disse Achille, e trattenne la poderosa mano sul pomo d'argento della sua spada, dopodiché la rinfilò nel fodero, piegandosi al volere di Atena, mentre quella, fischiettando e contenta come una pasqua, già risaliva all'Olimpo e si riuniva agli altri suoi colleghi. Achille, però, che ancora non aveva smaltito la potente incazzatura, si rivolse in tono acido verso Agamennone: ˗ Pezzo d'ubriacone! Tu, con quella faccia da culo di cane da caccia… tu, che nelle vene hai piscio anziché sangue… tu che ti sei sempre parato il culo nelle battaglie, mai gettandoti nella mischia, o fatto avanti per primo tra i tuoi guerrieri negli agguati, perché sapevi bene che in ognuna di queste azioni avresti potuto lasciarci le penne. Molto più comodo per te rimanertene a gozzovigliare nel campo acheo e sottrarre il bottino a coloro che osano contraddirti; grazie al cazzo! E se il tuo popolo non fosse composto da minchioni che non sanno fare una O con un bicchiere, e che si cagano nelle mutande al minimo rumore, fosse anche solo quello di una foglia che si stacca dal ramo, tu non saresti il loro tiranno. Ti dico inoltre che oggi ti è andata di lusso, che se non fosse stato per… non farmene parlare, quello che hai fatto sarebbe stata la tua ultima porcata… Ma sturati bene le orecchie dal cerume che ti porti appresso! Ti giuro su questo scettro che verrà il giorno in cui gli Achei avranno bisogno del sottoscritto, perché tu, povero minchione, non potrai fare nulla per loro quando la spada di Ettore farà i campi rossi di sangue, e allora ti roderai per la rabbia e ti angoscerai di aver offeso me, il più cazzuto dei Greci. Achille gettò a terra lo scettro adornato di borchie d'oro, e si sedette. Di fronte a lui Agamennone schiumava rabbia dalla bocca. Tra loro due si levò il vecchio Nestore, l'oratore di Pilo, e iniziò a parlare con prudenza e voce flautata: ˗ Ah, quale sciagura per la Grecia, e quale grandissima botta di culo per Priamo e per la sua città, quando saprà di questo formidabile scazzo tra voi due minchioni, che pare la ragione l'abbiate lasciata al bordello! Poiché io sono più vecchio di voi, puttana di quella Eva, ascoltatemi! Anche perché un tempo ho vissuto con guerrieri cazzuti, e sempre sono stato trattato con riguardo e mi hanno sempre dato ascolto… Pertanto anche voi datemi retta, poiché vi conviene… Agamennone, sebbene tu stia già pensando alle belle poppe della figlia di Briseo, ti prego! Evita di togliere la fanciulla ad Achille, e lascia che se la spupazzi lui, in fondo è il suo premio, il premio che gli hanno dato i Greci… E tu, Achille, piantala una buona volta di rompere i coglioni e di dare addosso ad Agamennone, in fin dei conti è un re, pure protetto da Zeus! Ricordati che tu, poiché sei nato da una dea, gli sei superiore a forza, ma lui ha un esercito più grande del tuo che vincerebbe sulla tua gente… ˗ e ritornando a rivolgersi ad Agamennone: ˗ Pertanto, frena la tua ira, e anche quell'altro, da cui principalmente dipendono le sorti di questa guerra, farà lo stesso… insomma, smettetela entrambi di rompere i coglioni! Agamennone prese nuovamente la parola e si rivolse a Nestore: ˗ Tu dici bene, ma questo individuo ˗ indicando Achille ˗ crede di essere chissà chi, manco fosse una star di Hollywood! Tratta tutti come pezze da piedi… Pretende che tutti scattino come molle a ogni suo ordine… e secondo te io posso accettarlo? Ma manco per il cazzo! Gli dei lo avranno anche reso un combattente con le palle ma questo non gli dà certo il diritto di spalare merda in testa a chiunque gli capiti a tiro. Achille s'intromise: ˗ Sarei un cacasotto se calassi le braghe a ogni tuo ordine. Fa' pure il bauscione con chi ti pare ma non con me! Perché io con te non ho nulla a che spartire; tienilo bene a mente e fatti un appunto… Ho deciso: non combatterò contro di te o contro altri a causa della fanciulla che hai intenzione di portarmi via. Ma provati ad allungare anche solo una mano su tutto il resto del bottino che è sulla mia nave e vedrai come scatteranno i calci in culo. Con queste parole ebbe termine la contesa e l'assemblea dei Greci si sciolse; commenti a bassa voce, mormorio, qualche bestemmia. Achille, in compagnia di Patroclo e di altri guerrieri ritornò alle proprie navi. Agamennone rimasto all'accampamento, sebbene fosse un po' stordito e con i coglioni ancora fumanti, comprese che, dopo quanto si era deciso, non poteva rimanere a trastullarsi a schiacciarsi le piattole, e che qualcosa di regale (il suo ruolo glielo imponeva) doveva pur fare. Pertanto chiamò presso di sé il saggio Odisseo, e lo nominò seduta stante e con una breve ma commovente cerimonia, capo della spedizione. Odisseo ordinò a venti marinai scelti di calare in acqua la più veloce delle navi e di imbarcarvi gli animali che sarebbero serviti per l'ecatombe; operazione che avvenne con qualche difficoltà: infatti nell'operazione di carico un toro cercò di ingropparsi una giumenta che non ne voleva sapere. Nel trambusto si ruppe una corda e parte del carico finì in acqua; un gran casino. Ripristinato il carico e tornato tutto alla normalità, fu lo stesso Agamennone a condurre Criseide a bordo, e mentre la aiutava a salire le appoggiò una mano sul culo. Gli venne anche in mente di concedersi un'ultima sveltina, ma non gli riuscì poiché il tempo incalzava. Finalmente Odisseo e la sua banda riuscirono a partire. Dalla spiaggia Agamennone, sventolando un fazzoletto, salutò la spedizione, e rimase a guardare la nave finché essa non sparì. A quel punto, poiché non sapeva che fare, gli venne la brillante idea di organizzare all'interno del proprio campo un collettivo bagno purificatore, e obbligò tutti a parteciparvi. Gli Achei si spogliarono e con le verghe sguainate entrarono in acqua, vi fu anche qualcuno tra gli ufficiali che ne approfittò per saggiare le chiappe dei sottoposti, ma a parte quello tutto si svolse in modo tranquillo. Dopo il bagno, uno spuntino; e sul bagnasciuga si organizzò un sacrificio di capre e tori in onore del dio Apollo. Mentre il fumo e l'odore del grasso che bruciava si levava alto nel cielo, Agamennone chiamò Euribate e Taltibio, due suoi fidi collaboratori. ˗ Andate alla tenda di quel rotto in culo di Achille! Prendete la figlia di Briseo e portatemela! La riconoscerete subito: e quella che ha due poppe così… ˗ e portate le mani a conca davanti al proprio petto ne specificò meglio le dimensioni, ˗ e se quel piantagrane di Achille dovesse fare storie, ditegli che andrò io stesso a prendermela, ma non da solo, bensì accompagnato da molti e cazzutissimi guerrieri, e allora gli farò vedere i sorci verdi, ˗ e li mandò via facendo un gesto con la mano. I due, che di tale incarico non erano entusiasti nemmeno un poco, avendo quasi la certezza che Achille li avrebbe accolti a calci in culo, s'incamminarono lungo la spiaggia fino a giungere all'accampamento dei Mirmidoni. Trovarono Achille seduto davanti alla sua tenda. Lui li guardò torvo; loro si presero paura e si arrestarono incapaci di pronunciare parola. Achille, che non era uno scemo e aveva compreso il motivo della loro venuta, li anticipò: ˗ Venite avanti, due minchioni! Non abbiate paura! Non ho intenzione di infilzarvi, almeno non oggi. Voi non avete colpa; il responsabile è quel fottuto del vostro capo, Agamennone, lui soltanto. È lui che vi manda a prendere la mia popputa Briseide… ˗ e si rivolse a Patroclo che gli stava di fianco: ˗ Su! Prendi la ragazza, portala fuori dalla tenda e affidala a questi due galantuomini perché se la portino via. Patroclo ubbidì e portò fuori dalla tenda Briseide dalle poppe esuberanti. La affidò ai due messaggeri, e il terzetto si allontanò. Achille disse ai compagni che si doveva allontanare per un bisogno corporale urgente e s'infrattò in un boschetto poco distante dalla sua tenda. Sicuro in quel momento di non essere visto da alcuno, non volendo rischiare di passare per piagnone e di conseguenza giocarsi la reputazione così faticosamente costruita, si lasciò andare alle lacrime, stese le mani e si mise a implorare la madre: ˗ Mamma, mammina, poiché io sono destinato a una vita breve… che Zeus, il quale passa quasi tutto il suo tempo a lanciare le saette dai monti, almeno mi dia la gloria, e che cazzo! E invece, a dirla tutta, non mi caca proprio, ma manco di striscio, e oggi l'ha ben dimostrato… Agamennone, il figlio del potente Atreo, ha preso e si tiene il mio dono, la popputa Briseide. Me l'ha sgraffignato via dalle mani, il maledetto! Non sono cose che si fanno… non ho forse ragione? La dea madre che in quel momento era dalla parrucchiera, udì le parole lacrimose del figliolo. Immediatamente uscì da sotto il casco e, con ancora con i bigodini in testa, si precipitò a raggiungerlo, andandosi a sedere vicino a lui che ancora piangeva. Accarezzandolo gli disse: ˗ Bimbo mio, perché piangi? Che cosa ti hanno fatto? Parla! Dimmi che cosa è successo in modo che io lo sappia! Chi ti ha fatto la bua? ˗ Ma perché te lo devo ripetere? ˗ domandò Achille quasi gemendo. ˗ Sai già tutto. Non ricordi quando siamo andati a Tebe, quando la bruciammo e facemmo un ricco bottino? Ah, che spettacolo! Che gioia! Che risate! Ebbene, quel bottino ce lo siamo spartito tra noi Greci, e ad Agamennone è toccata Criseide dal bel culo a mandolino. Ma quel rompicoglioni di Crise, il sacerdote di Apollo, non si era rassegnato alla perdita della figlia, ed è venuto da noi per averla indietro, offrendo un ricco riscatto, e tra le mani aveva lo scettro d'oro avvolto dalle bende di Apollo, pensa un po'!… Subito si è messo a pregare e ad arruffianarsi tutti i Greci ma in particolar modo Agamennone e quel cornuto di suo fratello Menelao. Tutti noi fummo subito d'accordo ad accettare il ricco riscatto di Crise; cazzarola! Aveva portato un sacco di roba! ma l'idea non sconfinferò Agamennone, che come il peggiore dei buzzurri lo scacciò in malo modo… Allora Crise si rivolse ad Apollo. Quello ascoltò le sue lamentele, s'incazzò e iniziò a gettare sui Greci un nugolo di frecce come mai si era visto, tanto da morirne come mosche, accatastati gli uni sopra gli altri; un puttanaio epocale!… Chiamammo allora l'indovino Calcante perché ci spiegasse il motivo di quella carneficina; e quello ci disse che Apollo si era imbestialito. Grazie al cazzo! Lo avevamo capito anche noi che quello si era incazzato, mica ci voleva un indovino? Io ho subito proposto di fare qualcosa per fare sbollire l'ira del dio e salvare le piume: restituire Criseide dal bel culo a mandolino al padre; non vi era altro da fare. Ma Agamennone si fece incazzoso oltre misura, e senza sentire ragioni iniziò a minacciare, a volere qualcosa in cambio… e tutto il resto che, come ti ho già detto, ti è ben noto. Criseide ora sta tornando dal padre, e da me sono venuti due incaricati di Agamennone, i quali mi hanno portato via popputa Briseide, il mio dono, il dono che i greci mi avevano fatto… ora ti chiedo di aiutare tuo figlio! Sali all'Olimpo e supplica Zeus… io so che siete sempre stati in buoni rapporti. Più volte ti ho sentito dire, vantandotene, che sei stata la sola ad andare contro gli altri dei quando volevano mettere in piedi quella specie di colpo di Stato. In quell'occasione tu arrivasti subito, chiamando sull'Olimpo il centimano Briareo, che si sedette di fianco a Zeus, cosicché gli altri dei si cacarono sotto e rinunciarono al loro proposito… Va' da lui! Fagli un paio di moine, e ricordagli quel fatto! Forse così acconsentirà a dar man forte ai Troiani, che ricaccino gli Achei e ne facciano polpette. E così anche Agamennone, riconoscerà di aver fatto una solenne minchiata non rispettando il più valoroso dei greci, cioè io. ˗ Ah, figlio mio! Andrò sulla cima dell'Olimpo a portare la tua preghiera a Zeus… e speriamo che non si comporti come suo solito da bischero e mi ascolti! Ma tu ora rimani vicino alle navi e trattieni la tua incazzatura… e, cosa ancor più importante, non fare il ciula e stai lontano dal campo di battaglia. ˗ Sì, madre. Lo faro. ˗ Bravo! Ma vi è un piccolo contrattempo, più che altro una lieve rottura di coglioni: proprio ieri Zeus è stato invitato a un banchetto dagli Etiopi, insieme con altri dei, non ti dico quali, tanto non è importante, e per il momento non è possibile avvicinarlo: sai bene che non vuole essere disturbato mentre gozzoviglia. Ma come ritornerà, tra una decina di giorni o poco più, andrò alla sua reggia, varcherò la porta di bronzo e farò di tutto per arruffianarmelo. Mamma Teti se ne andò, lasciando il figliolo a rimuginare sulle sue sventure e a rammaricarsi per la donna che gli era stata sottratta, a suo avviso ingiustamente, e senza che lui avesse potuto fare nulla. Nel frattempo Odisseo arrivava a Crisa… (Crisa, Crise, Criseide; cazzo che fantasia!) recando il carico di buoi da sacrificare. Come giunsero in prossimità del porto i marinai raccolsero le vele e le riposero in bell'ordine; ci tenevano a fare bella figura con il loro comandante! calarono l'albero e proseguirono a remi, come imponevano le norme marittime dell'epoca. Gettarono le ancore da poppa, e non appena misero piede sulla terra ferma fecero sbarcare gli animali destinati al sacrificio in onore di Apollo. Per ultima sbarcò anche Criseide che, sculettando amabilmente, si affiancò a Odisseo che la scortò fino all'altare dove suo padre la stava aspettando. ˗ Crise, ˗ disse Odisseo consegnandogli la fanciulla, ˗ mi manda qui Agamennone a riportarti tua figlia ˗ PAF: manata sul culo di Criseide da parte di Odisseo, ˗ e a offrire un'ecatombe in onore di Apollo per placare la sua ira e far sì che cessi ogni ostilità contro i greci. Il sacerdote, che a dire il vero manco più ci sperava, fu felice di riabbracciare la figliola, l'incontro fu commovente: ˗ Babbo… babbo… ˗ Figliola… figliola… Come stai? Come ti hanno trattato? ˗ In fin dei conti neanche troppo male, a parte il fatto che non sono più vergine… manco nel più inaccessibile pertugio. Crise a quelle parole abbassò il capo e cadde nel più profondo sconforto. Il suo secondo, un giovane sacerdote, vedendo che il maestro era in stato confusionale, si fece avanti e diede disposizioni perché si allestisse tutto l'occorrente per l'ecatombe intorno all'altare. Terminato di montare con tubi Dalmine il palco destinato alle autorità, tutti gli operai si lavarono le mani e presero i chicchi d'orzo. Crise sollevò le braccia e a gran voce si mise a pregare: ˗ Stamme a senti', Apollo! Tu che proteggi la città di Crisa, e la santa Cilla, sorella di Priamo, e regni su tutta l'isola di Tenedo… insomma, che hai le mani in pasta un po' dappertutto, così come hai ascoltato la mia preghiera colpendo l'esercito degli Achei, accontentami ancora una volta, e smettila di far calare mazzate su di loro. Apollo lo udì; annuì svogliatamente con un cenno del capo a lasciare intendere che si poteva fare. Allora, i chicchi d'orzo furono gettati a terra, ai poveri buoi furono tirate indietro le teste, e furono sgozzati e scuoiati per benino. Il sacerdote Crise, dopo aver letto velocemente alcune ricette su La cucina facile di suor Germana - Edizioni Piemme, si improvvisò chef e tagliò le carni degli animali in modo da farne tante belle bisteccone, per poi avvolgerle con il grasso e posandovi sopra altre primizie, così come era scritto nel manuale. Infine le mise a rosolare, gettandovi sopra del vino e di tanto in tanto tracannandone qualche bicchiere. Intorno a lui vi erano giovanetti che già salivavano abbondantemente impugnando lunghe forchette, e rimanevano in trepidante attesa di fare entrare in azione le mandibole. Quando le carni furono considerate ben cotte, si passò a cucinare le frattaglie, e tutto quello che rimaneva lo fecero a tocchetti, e li infilzarono su dei lunghi spiedi. Li arrostirono con cura e quando poi furono cotti a puntino, li levarono dal fuoco. Finito così il lavoro, e pertanto pronto il banchetto, tutti si misero a mangiare, ognuno ricevendo cibo in abbondanza. Dopo che si furono tutti ingozzati come pitoni, i più giovani portarono altro vino e lo servirono; e così continuò per tutto il resto della giornata, gli Achei seguitarono a cantare, intonando le lodi del dio che aveva voluto loro risparmiare; e parve che lui ascoltasse con grande soddisfazione. Infine calò il sole e giunse il buio. Molti, in particolar modo i più ubriachi, si misero a dormire, gli altri, coloro cui erano rimaste un po' di forze, si dedicarono alle pratiche amorose senza fare distinzioni di sesso. Quando spuntò l'alba, tutti si alzarono al suono della sveglia, e si recarono al bar per una veloce colazione con brioche e cappuccino. Odisseo, poiché era il capo spedizione, di brioche ne mangiò due. Al barista fu detto che più tardi a saldare il conto del bar, sarebbe passato Crise; aveva riavuto la figlia senza nemmeno cacciare un dindino! Che almeno offrisse la colazione agli Achei! Quel che è giusto è giusto; perbacco! Fatti su armi e bagagli, gli Achei ripartirono. Achille, nel frattempo, se ne stava seduto in prossimità delle sue navi, sempre incazzato di brutto per la sua perdita: non gli era ancora passata! Si sentiva svogliato, non si recava in assemblea, non scendeva in battaglia, insomma, rimaneva tutto il giorno rincoglionito ad aspettare che qualcosa succedesse… Finalmente, dopo dodici giorni, con tutto loro comodo gli dei immortali tornarono all'Olimpo, con Zeus in testa all'allegra comitiva. Teti non si era scordata della promessa che aveva fatto al suo figliolo, anche perché aveva avuto l'accortezza di farsi un appunto sulla sua agenda, ed emerse dalle acque e salì svolazzante su nel cielo. Andò subito alla club-house dell'Olimpo dove era sicura che avrebbe trovato Zeus. E infatti lo trovò seduto su un alto sgabello, mentre beveva un drink e si faceva gli affari suoi. Gli si avvicinò e con una mano gli accarezzò le ginocchia e con l'altra gli diede un amichevole pizzicotto al coglione destro. ˗ Sseus, ˗ Teti si espresse con un tono della voce un po' lagnoso e la zeta di Zeus risultò un poco sibilante, ˗ sai bene che in passato io ti ho fatto dei favori… ˗ e lo disse passandosi la lingua sulle labbra, ˗ non credi che potrebbe essere venuto il momento di ricambiare? ˗ Teti, che cosa vuoi? ˗ le domandò Zeus. ˗ Sseus, aiuta il mio figliolo! Che tra tutte le sfighe ha avuto la più grande: quella di non essere immortale… ˗ E allora? Vieni al punto! ˗ Quel farabutto di Agamennone gli ha fatto un grave torto: s'è preso il suo premio, Criseide, la deliziosa fanciulla dal bel culo a mandolino… ˗ Sì… qualcuno me ne ha accennato, non che io ci abbia capito un granché, ma… ma io che c'entro? ˗ C'entri, c'entri… Se tu ora fai vincere i Troiani, gli Achei capiranno che aver messo da parte Achille è stata una gran fregnaccia… Così che avranno nuovamente bisogno di lui e torneranno a portarlo in palmo di mano. Zeus rimaneva in silenzio, senza risponderle, pensieroso. Allora Teti fece scivolare la mano e lo accarezzò sul pacco. Accortasi della subitanea erezione del dio, reputò fosse il momento giusto per rinnovare la preghiera: ˗ Promettimi che lo farai! ˗ e nel frattempo gli abbassò la cerniera dei jeans. ˗ Fa' anche solo un cenno con la testa, oppure un mugolio, per me sarà sufficiente. Oppure dimmi di no, non temere! E così io saprò che ai tuoi occhi, tra le dee, sono quella che meno ti attizza! ˗ e insinuò la mano nell'apertura dei calzoni. Zeus ebbe un sussulto. Le prese la mano e gliela tolse. ˗ Hai intenzione di mettermi nei casini? E se ci vedesse qualcuno? ˗ Ma in questo momento non c'è nessuno qui nella club-house, siamo solo tu ed io. ˗ Mi farai litigare con Era, e finirà a mazzate, già lo so! È sicuro! Per la più piccola cazzata quella mi si scaglia contro come una Furia, figurati se ci vedesse ora, mentre mi trastulli il banano!… Facciamo così: ora tu te ne andrai, non voglio che qualcuno ci sgami e lo vada a riferire a Era. Farò ciò che mi hai chiesto, e perché tu sia certa che non dico frottole farò un cenno col capo, che è tra gli dei la più grande assicurazione che non mi rimangerò la parola. Zeus abbassò le cespugliose sopracciglia, agitò il testone e i suoi capelli si scompigliarono tutti. L'Olimpo tremò. I due si allontanarono cercando di non dare nell'occhio. Teti ne approfittò per un veloce salto al centro commerciale, e s'infilò dentro il negozio di parrucchiere per farsi dare una sistemata alla tinta; Zeus raggiunse il parcheggio, dove aveva lasciato il suo cocchio nuovo fiammante, appena uscito dalla fabbrica, e sgommando partì, per dirigersi a casa. Appena ebbe varcato la soglia, si ritrovò davanti tutti gli altri dei: Era li aveva riuniti in villa per un festino a bordo piscina. Zeus, per nulla contento di quell'intrusione, fece buon viso a cattivo gioco e andò a sedersi sul trono. Era, di cui tutto si poteva dire tranne che fosse una stupida, si accorse che qualcosa non andava nel marito, tanto più che qualcuno le aveva accennato che lui era stato avvicinato da Teti; e, fregandosene bellamente della presenza degli ospiti, lo aggredì: ˗ Si può sapere che hai? Si può sapere dove sei stato? ˗ e senza dargli il tempo di rispondere continuò: ˗ Di sicuro in qualche bordello, o forse in qualche night-club a guardare le ballerine sventolare il posteriore! ˗ Niente di tutto questo… ˗ E allora, che cos'è che ti passa per la testa? ˗ Il fatto che tu sia mia moglie non ti dà il diritto di chiedermi tutto quello che mi passa per la testa. Se avrò voglia di dirti gli affari miei te li dirò, ma per ora lasciami in pace e non fare domande… insomma, fatti i cazzi tuoi e non rompere i coglioni! Era strabuzzò gli occhi e si scagliò contro il marito: ˗ Bastardo che sei! È questo il modo di rivolgersi? Quando mai io mi sono messa a fare domande o a investigare sulle tue azioni? Fin troppo sono stata zitta e ho lasciato che tu facessi i tuoi porci comodi! Ma ora sarà il caso che tu mi dia delle spiegazioni… ho saputo di quella Teti, che si è messa a fare la sgarzusella con te e ti si è strusciata contro… e tu, vecchio rincoglionito, ti sei messo a sbavare! Che cosa voleva da te? Perché si e messa a smanettare il tuo divino pupparuolo? Forse perché voleva che le promettessi che sterminerai gli Achei così che Achille possa salvare la faccia. ˗ Brutta vacca incarognita, vai a pensare sempre male! Sempre a starmi col fiato sul collo! Torna a sedere prima che mi venga l'ispirazione di appiopparti un paio di ceffoni; e non sperare in qualche aiuto perché nemmeno tutti gli dei dell'Olimpo, tutti insieme, riuscirebbero a trattenermi dal dartele di santa ragione. A quelle parole terribili Era si spaventò e iniziò a tremare tutta. Calò un grande imbarazzo tra gli dei che avevano avuto la sfortuna di assistere al battibecco famigliare. Allora si alzò in piedi Efesto e disse: ˗ Ah, che cosa mi tocca sentire! È mai possibile che voi due andiate a litigare per dei mortali e che alla presenza di tutti mettiate in piedi una simile cagnara? Addirittura mi avete fatto passare l'appetito, il che è tutto dire!… Madre, lascia perdere Zeus, che faccia ciò che gli pare come ha sempre fatto; tanto lo sappiamo che non cambierà mai, non c'è verso che metta la testa a posto. Almeno così lui non farà più questioni e la vostra caciara da mercato non ci turberà più la digestione… Efesto prese una coppa a doppio manico piena di vino e, avvicinatosi zoppicando alla madre, gliela porse: ˗ Non avertene a male, mamma! Sopporta! Anche perché c'è il rischio che lui s'incazzi sul serio e ti carichi con una caterva di mazzate; e io non potrei che rimanere a guardare. Già una volta ho provato a mettermi in mezzo, non so se ti ricordi, e Zeus mi ha afferrato per un piede e scaraventato giù dall'Olimpo. Ho continuato a cadere per tutto il giorno e a sera mi sono schiantato sull'isola di Lemno; e che botta! Non te lo sto a raccontare… Per mia fortuna il popolo dei Sinti è arrivato subito in mio soccorso, altrimenti non so come sarebbe andata a finire… ah, che avventura! ah, che storia! Era gli sorrise e prese la coppa che lui le porgeva. Poi Efesto si mise a versare vino anche agli altri dei attingendolo a mano a mano dal cratere e procedendo in circolo da sinistra verso destra. Quando costoro videro Efesto che in modo goffo si affannava in quell'operazione di mescita scoppiarono a ridere. E così, placatisi gli animi, gli Dei ripresero a banchettare, e tirarono fino a tarda sera. Grandi le porzioni, e per l'occasione Apollo, a grande richiesta, si mise a strimpellare con la sua cetra uno degli ultimi successi discografici di Polimnia, una delle Muse. Quando calò la notte ognuno si reco a casa propria, quelle case che proprio Efeso aveva costruito. Anche Zeus andò a coricarsi nel suo letto, ed Era, ormai non più imbronciata, lo raggiunse.