14 Febbraio, San Valentino, le origini della festa degli innamorati.
14 Febbraio, San Valentino, le origini della festa degli innamorati.
Biglietti d'auguri, mazzi di fiori, cioccolatini, per i più abbienti anche qualche gioiello... ma quanti sanno, in verità, da cosa ha avuto origine la festa di San Valentino, la simpatica ricorrenza che in questo preciso giorno dell'anno fa battere il cuore dei neo-innamorati a ritmo di mazurka per poi, con il passare dei mesi e degli anni, rallentare in un più sereno ritmo di valzer, e infine volgere in un rilassato slow? Molti diranno che tutto ha avuto inizio da un subdolo spot pubblicitario di una nota casa di dolciumi; altri incolperanno la consorteria segreta dei fiorai che vigliaccamente inculcano nelle menti degli innamorati il dubbio che se non dovessero arrivare sotto casa della moglie o della fidanzata con un mazzo di rose rosse in mano potrebbero essere guai seri. Niente di tutto questo! Partiamo dalla scelta della data: il 14 Febbraio. Fosse stato per me, avrei scelto un altro periodo, magari in tarda primavera quando i raggi del sole e l'odore dei fiori stimolano i sensi, o in piena estate, quando sulle spiagge, tra un rinfrescante seppur non richiesto gavettone e un "cocco bello" urlato a squarciagola, si sbircia la vicina d'ombrellone nel suo striminzito bikini... io la proposta l'ho fatta ma non mi è stato dato ascolto, pazienza!, pertanto non mi resta che narrare i fatti e rifarmi alla tradizione. Anticamente, e per quanto mi riguarda personalmente ancora oggi, il periodo che andava dal 13 al 15 di Febbraio era considerato il più disgraziato dell'anno: neve, ghiaccio, un freddo becco, e soprattutto lupi che, non trovando più da mangiare sulle alture, scendevano a valle per concedersi uno spuntino a base di pecore, capre o altre leccornie. Gli antichi Romani, che la sapevano lunga, non rimasero con le mani in mano, e invocarono il dio Fauno perché li proteggesse da quelle mordaci bestiacce. Tale scelta non fu suggerita dal caso poiché tra le tante qualifiche dell'essere divino vi era anche quella di Lupercus che sta appunto a significare protettore del bestiame dai vili attacchi dei lupi. La divinità accolse con entusiasmo le suppliche dei suoi devoti pretendendo però in cambio l'allestimento di una singolare cerimonia che avrebbe dato lustro al suo nome. Furono così istituiti i Lupercalia, ultima festa prima del capodanno che a quei tempi si festeggiava il primo giorno di Marzo; ma senza che vi fosse il conforto del panettone e dello spumante, introdotti molto più tardi. A fare gli onori di casa e a coordinare lo svolgimento della festa erano designati dei giovani sacerdoti cui fu dato, appunto, il nome di Luperci. Un maestro delle cerimonie, detto magister, coordinava i due gruppi, ciascuno composto da una dozzina di membri. Si provvedeva al sacrificio rituale degli ovini, che non descrivo per evitare di introdurre in questo gaio racconto particolari cruenti; dopodiché, tra coloro che avevano ruolo attivo nella cerimonia, erano scelti due novizi. Costoro erano punzonati sulla fronte con il sangue delle sventurate caprette; questo sangue doveva poi essere deterso con della lana che era stata in precedenza inzuppata nel latte di capra a mo' di brioche. A questo punto, non chiedetemi il motivo, non ve lo saprei dire, i due giovanetti si dovevano mettere a ridere come due rimbambiti. Volendo, comunque, dare una spiegazione a tutti i costi, si può ipotizzare che la fronte segnata, utilizzando il coltello insanguinato con cui era stata accoppata la vittima, rappresentasse uno stato di morte religiosa anteriore rispetto al rito, mentre il successivo utilizzo del latte e la pratica delle risate, si riferissero all'ingresso dei novizi in un più alto consesso sacerdotale. Che cosa avessero poi da ridere, proprio non saprei! Si concludeva in tal modo la prima parte della cerimonia. Nella seconda parte, a mio avviso ancora più interessante, i Luperci, tutti quanti, spalmati di grasso dalla testa ai piedi, luccicanti come un fritto di totani della pizzeria Marechiaro, con la faccia impiastricciata di fango o di altra porcheria e indossando solo pelli di capra attorno ai fianchi, appartenute alle vittime appena sacrificate, dovevano andare in giro correndo e saltellando, tenendo in mano delle strisce di pelle, ricavate anche queste dagli sventurati ovini martiri, e brandirle a mo' di fruste. Il loro compito era di sferzare il terreno, forse con l'intento di sollecitare un abbondante raccolto, non disdegnando cinghiate a chi capitava loro davanti, e in particolar modo alle donne che si sottomettevano volentieri a questa divertente usanza, facendosi colpire sul ventre nudo, sicure che in tal modo avrebbero ottenuto un notevole incremento della loro fecondità. Contente loro! Ma ahimè, tutte le cose belle prima o poi sono destinate a finire! Infatti, nel 495 papa Gelasio I, incazzatissimo, scrisse ad Andromaco (che per chi non lo sapesse non lo sapevo nemmeno io; mai sentito!, era quello che noi oggi definiremmo il Presidente del Senato), lamentandosi che si permettesse ai devoti cristiani, che forse tanto devoti non erano, la vergognosa partecipazione a tali riti tribali. Andromaco si prese paura per quella sfuriata del pontefice, e in quell'anno stesso i Lupercaria ebbero fine per suo decreto; e dovette passare più di un secolo perché i cristiani ottenessero un parziale risarcimento per tale sottrazione che coincise con la nascita dell'istituzione della festa della candelora, che fu fissata per il due dello stesso mese; manifestazione altrettanto importante ma sicuramente meno suggestiva. Nell'immediato, invece, papa Gelasio, per ovviare all'inconveniente e non fare del tutto la figura dell'antipatico guastafeste, pensò bene di sostituire quel rito pagano dedicando la giornata al santo martire Valentino di Terni, città più nota oggi per il suo complesso siderurgico che non per l'illustre concittadino. I monaci benedettini, responsabili della basilica dedicata al santo, si diedero un gran da fare a trasmettere in tutta Europa l'insegnamento di san Valentino il quale si era dato un gran daffare nella sua vita a predicare l'amore tra le persone. Chi viveva in quel periodo si rese però presto conto che l'amore tra i popoli non fosse cosa facile da conseguire, e pertanto ridussero l'insegnamento del santo a un amore più circoscritto che implicava l'interazione solo tra due persone, generalmente un uomo e una donna, e non a moltitudini sempre in contrasto tra loro e pronte a ogni occasione a calarsi sulla testa sonore mazzate. Il proliferare con il tempo di poeti sdolcinati che cantavano la donna amata e la convinzione di allora, cioè che nel mese di Febbraio gli uccellini iniziassero a scambiarsi effusioni amorose, sancirono in modo ufficiale che il 14 di tale mese fosse il giorno dedicato alla festa degli innamorati. Nel 1800 nacque l'usanza di spedire per tale ricorrenza bigliettini d'auguri a forma di cuore. Alcuni imprenditori lungimiranti intuirono l'affare e iniziarono a produrre bigliettini d'auguri su vasta scala. A questi biglietti fu dato il nome di Valentine. Il successo fu immediato, e la ricorrenza rimase scolpita indissolubilmente nel marmo.
Marcus Nolde