Addio Trottolina!
Addio Trottolina!
Ognuno di fronte alla morte di una persona cara o di un animale domestico reagisce in modo diverso: c'è chi ne deve informare il mondo intero; il mio è quello di chiudermi in silenzio. Non è mia abitudine dare notizia di decessi e fare elogi funebri. Non li ho fatti quando è morto mio padre; altri lo hanno fatto al posto mio. Non li ho fatti quando è morta mia madre, andatasene da un momento all'altro mentre aspettava che venisse su il caffè, e come da sua volontà ne ho dato notizia sul giornale con un trafiletto a funerali ormai avvenuti; e non lo farò nemmeno questa volta; voglio solo raccontare di quanto la sfortuna si possa accanire contro un essere vivente senza alcuna colpa se non quella di essere venuto al mondo. È l'inizio di Dicembre, una mattina; io esco per mettere la spazzatura nel bidone. Il tratto che devo fare è di una ventina di metri. A metà del percorso vedo sotto l'oleandro del vicino una massa informe, raggomitolata, di ossa e pelo. È una gattina rigida per il freddo, bagnata fin sotto pelle; penso sia morta; non potrebbe essere altrimenti!, mi dico. Rientro in casa, avverto Daniela. Insieme usciamo di nuovo. Una lieve carezza e la gattina si muove. Dà segni di vita. La prendiamo, la solleviamo con delicatezza. Il suo musetto è mostruoso: un occhio è quasi fuori dall'orbita, l'altro appannato da un velo grigio che non lascia sperare nulla di buono. Telefoniamo subito alla veterinaria; è un'emergenza. Ci dice di andare in ambulatorio, che lei sarà lì tra dieci minuti. La visita; forse c'è la speranza di salvare l'occhio meno malandato; una lieve chimera. Qualche giorno poi vedremo il dà farsi; al momento è troppo debole: non si può intervenire. La portiamo a casa, la poniamo al caldo. Mangia si riprende. Torniamo dalla veterinaria; ormai la malattia è in fase troppo avanzata: bisogna operare. Operare significa asportarle entrambi i bulbi oculari; penso al destino di questo povero essere: trascorrere il resto della sua vita al buio; ho un groppo in gola, mi manca il fiato come se mi avessero dato un cazzotto alla bocca dello stomaco. Si esegue l'operazione; tutto bene, se così si può dire. La micina torna a casa, mangia, mette su peso, le cicatrici pian piano guariscono; il suo musetto è un amore, ma ha gli occhi chiusi, sigillati per sempre dal filo chirurgico. Meow, meow... ogni tanto un sommesso miagolio, mentre si muove per la cucina e va a sbattere contro qualche ostacolo; ostacoli ve ne sono tanti, impossibile rimuoverli tutti! Di certo si chiede: "Ma com'è 'sta storia che fino a una settimana fa ci vedevo, poco ma ci vedevo... e adesso, invece, non ci vedo più nulla?". Passano alcune settimane, pare che si sia abituata al suo nuovo disgraziatissimo stato. Ti sale su per la gamba, vuole essere tenuta in braccio, fa le fusa, ti schiaccia addosso le zampine, alternando prima una e poi l'altra. La guardi e ti viene da piangere. Pensi: E se quel giorno non avessi avuto nulla da gettare nel bidone e non le fossi passato davanti, che cosa sarebbe successo? Come sarebbe finita? Lo sai, e sei contento che sia andata così... la guardi ancora, l'accarezzi: un pelo soffice come la bambagia e liscio come la seta. Non ti si staccherebbe mai di dosso, tu sei tutto il suo mondo, il suo mondo buio. Mangia con appetito, tutti quanti in casa si sono abituati alla sua discreta presenza. Gioca, fa dei brevi tratti di corsa, ricorre il topino di peluche; sono molte le volte in cui lo perde, non lo vede!, è a nemmeno una spanna da lei ma non lo vede!, e bisogna riportarglielo a portata di zampina perché possa riprendere a giocare. Poi un giorno smette di mangiare: di nuovo in ambulatorio. Analisi. Salta fuori che ha la più terribile malattia che possa capitare ai gatti, forse ereditaria, forse trasmessale dalla madre quando ancora era nel suo grembo. La sentenza è incerta, non si sa quanto ancora possa durare, qualche mese, un anno, forse più. Ci rassegniamo, e ci riportiamo a casa il batuffolino di pelo. Cure. Sembra si riprenda. Una settimana o due, e smette nuovamente di mangiare. Si ritorna in ambulatorio. Problemi ai denti, dice la veterinaria, e di questo ne eravamo già a conoscenza e sapevamo che avremmo dovuto intervenire, anche se non pensavamo così presto. Abbassiamo ancora una volta il capo e prenotiamo l'intervento per qualche giorno più tardi. Intervento eseguito. Riprende a mangiare. Tutto bene!, forse i suoi e i nostri guai sono finiti, ma pare non sia così: trascorre nemmeno una settimana e inizia a spegnersi, non gioca, non ti viene in braccio, se ne sta in disparte. Notiamo una dilatazione del ventre, repentina, dalla sera alla mattina. Telefoniamo alla veterinaria. Ahi, ahi, dice lei per telefono. Portatemela! Quel ahi, ahi, fa presagire il peggio possibile. Infatti, Trottolina ha contratto una terribile forma virale; purtroppo c'è il riscontro dalle analisi. Tre giorni, una settimana, forsanche qualcosa di più e poi il suo destino sarà la morte, una morte accompagnata dalla sofferenza. Bisogna prendere una decisione. Io, Daniela e la veterinaria, che anche lei ha preso a cuore la triste situazione della gattina e le si è affezionata, non ce la sentiamo di parlare. Ci guardiamo e non riusciamo a prendere una decisione. Non c'è nessuno dopo di noi in sala d'aspetto; non c'è fretta, e continuiamo a guardarci instupiditi, increduli. Qualche lacrima scorre. Oltre tutto c'è il rischio che con buona probabilità trasmetta la malattia agli altri mici, se non è già tardi!, malattia per cui non esiste una cura o una qualche forma di vaccinazione. Un pericolo anche per gli altri: Zorrino, Paciughina, Cipolla, e Manny, l'ultimo arrivato, dove Manny è un neologismo e sta per Manicomio. Alla fine la decisione: l'iniezione e si porrà fine alle sue sofferenze e alla sua breve vita disgraziata. Io esco dall'ambulatorio, mi accendo una sigaretta, faccio due tiri, impreco anche se so che non serve a nulla, getto la sigaretta, rientro. Già tutto fatto. Trottolina è dentro una scatola di cartone. La portiamo a casa. Oramai e buio, la seppelliremo domani, cioè oggi, vicino agli altri suoi simili. Ormai il giardino è un cimitero: Matisse, Tabata, Pallottola, Bianchina, Scimmietta, SandoGat, e anche Arghetto, anche se lui è, era, un cane. Dopo poco più due mesi di vita con noi quel batuffolino di pelo non c'è più. Fanculo! Fanculo alla sfortuna! Fanculo al mondo!
13/02/2019