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I luoghi di Nolde - Babele N.12 - Le scimmie del tenente Nolde (inedito, in corso d'opera)



Enzo fu un'altra volta abbrancato dai due primitivi, e trascinato con mala grazia fuori dallo stanzone. Usciti dall'archivio, percorsero un breve corridoio fino a giungere davanti a uno stretto portoncino. Il comandante lo aprì e passò per primo; il terzetto, compatto, lo seguì. Si ritrovarono in un ampio cortile che, a giudicare dalla struttura degli edifici tutto intorno, pareva una caserma. Al centro si ergeva una statua che raffigurava una donna con il braccio teso verso l'alto, nella mano reggeva qualcosa che Enzo faticò a distinguere, a prima vista sembrava uno scopettone del cesso, anche se ritenne improbabile che si potesse trattare di quell'utile e tanto bistrattato arnese domestico. Dietro la statua svettavano tre pennoni con tanto di bandiere, purtroppo flosce a causa della totale assenza di vento. Enzo richiamò l'attenzione del comandante: ˗ Scusi. ˗ Che c'è? ˗ Mi sa dire perché le bandiere sono issate? ˗ Oh, perbacco! Non saprei. Di solito l'alzabandiera non lo facciamo prima delle otto del mattino. L'ufficiale addetto si sarà dimenticato di farle ammainare, ˗ e infastidito domandò al signor Joseph: ˗ Dov'è l'ufficiale di picchetto? ˗ Ieri, verso le otto, è andato a cena, e da allora non si è più visto. Pare che non sia rientrato. ˗ È rientrato oppure no? Sia preciso, dannazione! Finito con questo signore, andrete a cercarlo e gli direte di venire a rapporto da me. Ho intenzione di chiarire la faccenda. Il collaboratore numero due, il signor Grull, esternò il proprio pensiero: ˗ Avrà pensato non fosse il caso di calare la bandiera la sera per poi issarla di nuovo il mattino seguente. ˗ Stia zitto, imbecille! Lei parla sempre a sproposito.


da Babele N.12

Nel cortile della caserma.


da Le Scimmie del tenente Nolde (inedito, in corso d'opera)





Il mio viaggio è giunto al termine, sono arrivato a destinazione; e ciò è già una buona cosa: il tratto di strada che ho percorso non è stato di alcun interesse o stimolo. Sono davanti a ciò che rimane dell'ingresso carraio della mia caserma, e non è una gran bella vista! Lo trovo spalancato; nessuno di guardia, non una sentinella, manco un piantone, niente di niente. Affisso sul muro alla mia destra un cartello di rugginosa lamiera. Leggo: "zona militare, divieto di accesso, sorveglianza armata", inutile la descrizione, il veto, la sicura reazione: chiunque può entrare e uscire, come gli pare, come se si trattasse di un cesso pubblico. Lo attraverso; ormai sono dentro. Alla mia sinistra ritrovo la piccola officina per la manutenzione ordinaria degli automezzi. Avanzo ancora di alcuni passi e sono nel vasto piazzale. Mi fermo, esito. L'area mi appare in tutta la sua grandezza, delimitata da quattro edifici gemelli l'uno accostato all'altro ad angolo retto. Non so dire in qual misura ma lo ricordavo diverso, e mi fa uno strano effetto; forse per via di tutte le auto che sono parcheggiate al suo interno, un gregge di lamiere, addirittura un paio di roulotte, panni stesi, mutande, calzini. Ai tempi l'unica auto cui era consentito l'accesso era quella del comandante del battaglione; quelle degli altri ufficiali, vicecomandante compreso, rimanevano impietosamente fuori, sulla strada. Alzo lo sguardo, sul pennone che è al centro dell'immenso cortile non sventola alcuna bandiera della Repubblica Italiana; qualcuno l'avrà presa per farne stracci da cucina! Tre pezze di tre colori diversi, ognuno per una diversa occasione; tristezza! Il mio sguardo inizia a scorrere lungo il porticato, tutto intorno. I miei pensieri mi ritornano alla mente come un rigurgito; ricordo che era l'ideale come protezione quando pioveva, e quell'anno ha piovuto spesso. Scorgo a terra un'infinità di cartacce unte, fogli di giornale. Guardo meglio: negli angoli si sono ammucchiati cumuli di immondizia, un televisore con lo schermo sfondato, un materasso chiazzato in più punti da ampie patacche scure, e persino una lavatrice. Quanto ci si dava da fare perché il piazzale, anche in ogni suo più recondito cantone, fosse sempre pulito! A terra non vi doveva essere nemmeno un mozzicone di sigaretta, manco un cerino!... e ora mi ritrovo a rimirare 'sto grandissimo schifo. Nausea!


Prima polveriera. Storie di donnine allegre e di esplosioni.

da Le Scimmie del tenente Nolde (inedito, in corso d'opera)


In men che non si dica arrivò il mio turno di prestare servizio in polveriera. La polveriera si trovava a una trentina di chilometri dalla caserma e, per ironia della sorte era lo stesso deposito munizioni al quale durante la guerra partigiana mio padre alla testa di due o tre sbandati come lui, senza nemmeno aver mai saputo come ci fosse riuscito, aveva dato all'assalto e conquistato, trovandovi però al suo interno soltanto un paio di moschetti inceppati e mezza cassa di munizioni, così mi aveva detto. La guardia alla polveriera durava sette interminabili giorni all'insegna della più grigia monotonia, e il corpo di guardia era così formato: un ufficiale, e quello per mia sfortuna ero io, un sergente maggiore che faceva le funzioni di vicecomandante e ventuno militari, non uno di più, non uno di meno, i quali in teoria avrebbero dovuto effettuare il servizio di guardia lungo tutto il perimetro recintato e rinforzato da filo spinato, avvicendandosi in tre turni di due ore ciascuno. Subito compresi che oltre ad annoiarmi in quel luogo non c'era molto altro da fare, a parte sonnecchiare tutto il tempo disteso su una branda e presenziare al caricamento delle armi in un punto ben preciso e adatto allo scopo, dove i soldati infilavano il fucile in una sorta di buca rivestita all'interno in materiale assorbente per contrastare un'eventuale esplosione accidentale del proiettile. L'unica attività di tipo pseudointellettuale a cui mi dedicavo era di elaborare le parole d'ordine e le controparole che comunicavo ai soldati di guardia e che facevo cambiare ogni ventiquattro ore. Alcune di queste forse non erano troppo fantasiose, ma facili da ricordare per i soldati: alla parola d'ordine "Felicità" corrispondeva la controparola "Al Bano e Romina", a "Italia" c'era "Campioni del mondo", a "Il principe" seguiva "Totò", a "Cicciolina" un "Avanti, c'è posto", e via di seguito... Durante una di quelle lunghe giornate di noia, il sergente maggiore, tanto per far passare il tempo, mi narrò di un fatto avvenuto qualche anno prima in quel deposito dove ci trovavamo. Mi raccontò che il mio collega, d’accordo e in collaborazione con i suoi compagni di corso, aveva pensato bene di trasformare la polveriera in un luogo d'incontri con signorine di dubbia reputazione raccattate senza fare troppo caso alla qualità, per strada o in qualche infima bettola dei paesi vicini.

(continua...)

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