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L'ultimo party - stile libero - selezione da "Incubi & Deliri" di Marcus L. Nolde

L'ultimo party stile libero - selezione da "Incubi & Deliri" di Marcus L. Nolde


... il tizio che ho di fronte, un metro e mezzo d'uomo, mi scruta dal suo occhio sporgente... Ti fa impressione?, mi domanda con voce roca... io fatico a respirare; la sala, enorme, smisurata, è piena di fumo di sigarette; non rispondo... lui vuole, ritiene sia opportuno fornirmi spiegazioni e inizia a raccontare: Una sera, era d'inverno, intenso il freddo! gelo! eravamo su una banchina del porto, all'improvviso e senza che ve ne fosse motivo, una sprangata; vi era stata una discussione per un'inezia, non si trattava di nulla di importante, soldi, donne, il senso della vita, minchiate!, le solite cose, insomma... non dico nulla, mi limito ad annuire, muovo la testa in su e in giù un paio di volte, come uno scemo... intorno a noi giovinette dalla pelle come la neve, danzano ondeggiando alle nostre spalle, tutte marmocchie rispettabili e di buona famiglia, di quelle che si possono incontrare la domenica in chiesa, peccato che io in una chiesa non ci sia mai entrato! le vedo riflesse nel grande specchio a parete che ho di fronte, un ballo vorticoso, ritmato dal suono di tamburi, cimbali, pifferi, i palmi delle mani che battono sulle cosce lunghe e muscolose, amalgamano il suono, un'unica, universale vibrazione... più in là, verso il fondo della sala, in un cantone dove a fatica arriva la luce, è sprofondata su un'immensa e logora poltrona una donna adiposa, succulenta, sulla cinquantina, priva di qualsiasi indumento, eccezion fatta per un lezioso ampio cappello di raso nero poggiato sulle ventitré; a gambe divaricate mostra il suo immondo ciuffo di peli, non riesco a toglierle gli occhi di dosso; lei ride sguaiatamente, manda baci, allarga di continuo la bocca, mostrando una lingua vibrante e appassionata a tutti coloro che le passano a tiro; un rivolo di bava le cala tra le pieghe di un labbro vermiglio, per terminare la corsa sul suo ventre, tre o quattro volte pieghettato... Qualcuno di voi, luridi sifilitici, mi allunghi una cancerosa!, urla la baldracca picchiando con il pugno il bracciolo della poltrona; ma nessuno le dà ascolto... penuria di sigarette; e i tabaccai non riapriranno che domani mattina... fluttuano le vergini, oscillano come i miei ricordi; non è il primo di questo genere di convegno cui prendo parte, simposi sguaiati, lussuria nell'aria, notte d'estate, una leggera brezza, frizzantina, stuzzicante… quasi un brivido, si accappona la mia pelle... tumb, tumb, tumb, ancora i tamburi, il fragore è incessante, coinvolgente; i sensi eccitati... Sei già stato qui?, mi domanda occhio di rospo, alzando la voce... È possibile, rispondo, ma non ricordo, mento... si ode un tonfo: un artefatto elegantone s'è accasciato al suolo, lungo disteso, un rantolo dalla bocca, forse è il suo ultimo fiato, la sua gamba sinistra si contrae in uno spasimo, poi più nulla... un altro uomo, che appare in preda ad atroci sofferenze, s'inginocchia al suo fianco e prende a dare largamente di stomaco… uno, due, tre volte… tartine, rosei gamberetti, maionese irrancidita, vino mediocre, tutto mescolato in un'unica pozza maleodorante e d'una screziata tonalità giallo scuro... un altro ancora mi passa accanto, mentre con fare svagato canticchia un motivetto allegro; indossa una giacca di gran prezzo, camicia di seta e cravatta ricercata, ed è completamente nudo dalla cintola in giù... attorno alla testa porta, quale ridicola corona, un paio di mutande di cotone... il rosposo solleva il braccio e con il dito indice m'invita a guardare il soffitto e mi dice: Senti che cosa accade al piano di sopra?... io non sento nulla... L'acqua putrida, continua lui a spiegare, ormai ha invaso tutto il piano superiore; tra poco il soffitto ci rovinerà sulla testa... la laida donna mi indica con un dito: Tu, tu, filibustiere, vieni a gustare questo dolce nettare, mi dice mentre si solleva in successione le mammelle in sincrono con l'eco dei tamburi; ampie corone violacee si allargano, esagerate protuberanze carnose svettano, solcate su tutta la superficie da mille pieghe più scure; attrazione e ripugnanza al tempo stesso... si ode uno sparo... Che cosa è stato?, sussulto... il mezz'uomo mi risponde, cortesia mista al desiderio di mostrare la propria dozzinale erudizione: Nient'altro che il cervello di qualcuno che in questa notte di agosto se n'è andato a tappezzare la parete… non dartene pensiero, domani mattina vi provvederanno mosche e calabroni... ora una birra, ho il bisogno di far andar giù la polvere che ho nello stomaco... gli rispondo: Anch'io berrei volentieri qualcosa, non perché abbia sete ma credo che mi sentirei meno stupido con un bicchiere in mano... Probabile che non sia rimasto più nulla, che questi luridi bastardi si siano scolati fino all'ultima goccia!... guardo in basso, e mi accorgo che sto guazzando in una pozza melmosa... Acqua, dico, melma! merda!... lui m'informa: Ha cominciato a filtrare dagli interstizi, tra poco ci arriverà alla cintola, poi al collo e, infine, un'unica ondata, e per te sarà la fine... Forse dovremmo uscire di qui, propongo... Le porte sono chiuse, mio caro amico!, sigillate dall'esterno; e poi, dimmi!, per andare dove?... So solo che voglio andare lontano da tutto questo; mi sta facendo male... Sotto due metri di cemento sarebbe stato lo stesso; se non ci credi che dico il vero, guarda nel fondo del mio occhio mostruoso!... mi avvicino al suo viso, mi ci vedo specchiato dentro il bulbo disgustoso, ma sono mille le sfaccettature, caleidoscopiche, multiformi, non riesco a fissarne nella mente una che sia una, scorrono troppo veloci, alcune nette solo per un breve istante, altre imprecise, distorte, tutte si amalgamano in una densa caligine poi, all'improvviso, un'esplosione, scintille, ed ecco che schizzano in tutte le direzioni... mi adopero in un colpo di reni per allontanarmi più fretta possibile da quell'occhio ma il mio scatto è rallentato: la melma mi arriva alle spalle...

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