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Due sedute spiritiche e un altro inspiegabile episodio - di Marcus L. Nolde

Due sedute spiritiche e un altro inspiegabile episodio di Marcus L. Nolde



Non credo a spiriti che ti parlano dall'aldilà o a fantasmi che si materializzano ai piedi del tuo letto o che se ne vanno allegramente scorrazzando in case abbandonate facendo un baccano d'inferno e spaventando i malcapitati che si trovano a passare nelle vicinanze. E allora, perché scrivere di questo argomento? La colpa è di un film che ho visto ieri sera; il titolo l'ho già dimenticato, non me ne vogliate. Narrava la storia di una medium truffatrice. E fin qui tutto bene! Vicende reali, che capitano continuamente. Farabutti che si approfittano delle debolezze altrui, e che per mezzo di trucchetti da teatro di provincia fanno credere a poveri sprovveduti di parlare con i loro cari defunti, e tutto ciò previo sostanzioso e indispensabile compenso in denaro. Ma torniamo al film: a circa metà della rappresentazione i fantasmi fasulli sono diventati veri e mostrando un carattere tutt'altro che mite hanno iniziato a creare non pochi problemi alla ciarlatana sensitiva. Ben le sta!, direte voi, e lo dirò anch'io; ma a quel punto il film è diventato inguardabile. Una noia mortale! Sempre le solite azioni truculente che nell'intenzione dei registi e degli sceneggiatori dovrebbero incutere terribili paure, ma tutto ciò che ottengono sono solo larghi sbadigli a rischio di lussazione mascellare. Pertanto ho pensato bene di spegnere il televisore per dedicarmi a un'attività più gratificante, ossia me ne sono andato a dormire. Tuttavia voglio raccontarvi di alcuni episodi che mi sono capitati in passato. Non voglio provare a darne una spiegazione; li racconterò così come sono accaduti.


La prima seduta spiritica di cui parlerò e i cui ricordi sono un po' appannati, è avvenuta moltissimo tempo fa, ma ciò nonostante posso essere molto preciso circa la data. Poi capirete il perché. Era il mese di agosto dell'anno 1978. Mi trovavo in vacanza con due amici all'isola d'Elba. Ero allegro e spensierato perché da un paio di mesi avevo terminato la quinta ginnasio, ed essendo stato promosso alla prima classe del liceo, non a pieni voti ma comunque promosso, mi godevo il meritato riposo senza l'assillo di dover preparare qualche materia da portare a settembre. Eravamo tre giovani estroversi e dotati di esuberanti doti di comunicazione, inoltre, a quel tempo anche di bell'aspetto, e non ci volle molto perché la collettività dei villeggianti si accorgesse delle nostre non comuni qualità e ci accogliesse a braccia aperte. Ospitati in ricche case di proprietà dei genitori di nostri coetanei e soprattutto coetanee, intrattenevamo l'uditorio con brillanti, anche se a volte un po' bizzarri, discorsi. Una sera, non so a chi sia venuta l'idea e come ci si arrivò, si decise di fare una seduta spiritica. Per noi tre giovincelli che arrivavano dal Piemonte non era una novità: altre volte ci eravamo dedicati a tale pratica ma non con l'intento di comunicare con i morti bensì di ritrovarci nella semioscurità a stretto contatto con qualche ragazzina carina e, complice il buio, con nonchalance allungare le mani. Ma quella sera non andò come avevamo sperato. Ci dissero che comunicare con il mondo dei morti era una cosa seria e che avremmo dovuto partecipare alla seduta medianica mantenendo un irreprensibile contegno. Iniziammo. Ricordo l'enorme fatica spesa per rimanere seri, sfidando l'ira della padrona di casa e facendoci rimproverare continuamente. Alla fine riuscimmo a contenerci e la seduta entrò nel vivo, si fa per dire giacché dovevamo comunicare con i morti. Non disponendo di una tradizionale e pratica tavola Ouija si era deciso di operare in modo artigianale e più alla buona, cioè ponendo sul piano del tavolo un bicchiere che avrebbe fatto le funzioni di Planchette, e tutto intorno dei rettangolini di carta con sopra ben marcate le lettere dell'intero alfabeto, i numeri da zero a nove, e altri due foglietti con scritto "sì" e "no"; io avrei voluto aggiungerne un terzo con la scritta "forse" ma la mia richiesta non fu presa in grande considerazione e fu subito scartata; pazienza! Il bicchiere, spinto da forze misteriose oltre che dalle nostre dita, si sarebbe dovuto avvicinare alle lettere in modo da comporre parole e frasi che ci avrebbero rivelato gli insondabili misteri dell'universo. All'inizio il bicchiere stentava a muoversi, pareva grippato e zoppicante, poi prese a viaggiare in maniera un poco più spedita. Non ricordo quali domande ponemmo da principio, questo tanto per rompere il ghiaccio con l'entità ultraterrena, ma di sicuro reclamammo subito di sapere con chi avevamo a che fare, se Napoleone, Hitler, Stalin o Gengis Khan. Dopo reiterati tentativi riuscimmo finalmente ad apprendere che il nostro interlocutore non era uscito dalle pagine dei libri di Storia per incontrarsi con noi, ma che si trattava di un ragazzo romano, di nome Mario, poco più vecchio di noi, purtroppo morto in un incidente in motocicletta. I messaggi arrivavano confusi. Al termine, quando oramai avevamo deciso di sospendere poiché non riuscivamo a cavare un ragno dal buco, Mario decise di lasciarci un ultimo messaggio, questa volta un po' più chiaro degli altri. Il bicchierino si mosse e formò la parola "more". Subito scartammo l'ipotesi che volesse comunicarci che in vita era stato ghiotto di quei gustosi frutti di bosco. Similmente escludemmo la possibilità che si fosse rivolto a noi con la lingua d'Albione in cui "more" significa "di più", ma più di cosa?, ci domandammo. E infatti non era ciò che ci voleva comunicare il trapassato, perché il bicchiere continuò a muoversi e formò la frase: "more paolo". Seguirono attimi di grande tensione. Paolo, che era uno dei due amici che erano con me, non fu per nulla contento di leggere il suo nome. Tanto più che, facendo un breve ragionamento, ossia che lo spirito, avvezzo alla parlata romana, con quel "more" aveva voluto dire "muore", cioè che Paolo sarebbe morto. E che cavolo! Meglio smettere, ci dicemmo. Ma il bicchiere continuò, e andò sulla lettera v, e poi sulla i, e infine si fermò. Che cosa aveva voluto dirci, forse che uno muore e poi vi... forse vive? Poiché non ci avevamo capito nulla, convenimmo tutti che la frase fosse incompleta e provammo a insistere per ricavare la parte che secondo noi ancora mancava. Il bicchiere formò di nuovo la frase esattamente come prima. Poi più nulla, lo spirito ci abbandonò. Abbandonammo anche noi quella casa, e poiché era ancora presto ci infilammo in un pub a bere; allora non era un problema servire alcolici ai minorenni, purché questi avessero i soldi per pagare. All'ora di chiusura fummo cacciati fuori e con in corpo un tasso alcolico di un livello di tutto rispetto iniziammo a vagare per il paese, dedicandoci a declamare poesie di cui rammentavamo solo alcuni frammenti, citando brani di opere letterarie (ricordo che in quella precisa occasione scomodammo nientemeno che Svevo e il premio Nobel Beckett), azzardando qualche improbabile passo di danza, insomma, cazzeggiando come nostro solito. Frattanto il tempo era cambiato: si era levato un vento fortissimo, l'aria si era fatta scura, densa, cupa, in buona sostanza un tempo infame e pareva di trovarsi in uno scenario dai toni gotici in cui da un momento all'altro ti aspetti di vedere spuntare un assassino con tanto di coltellaccio ben saldo nella mano. In qualche modo riuscimmo ad arrivare al nostro ricovero e ci lasciammo andare a un lungo sonno ristoratore. Nella tardissima mattinata del giorno seguente (era il sette agosto del 1978) mentre ci recavamo presso il bar che da alcuni giorni avevamo eletto luogo prediletto in cui fare colazione, ci capitò di passare davanti a un'edicola, e leggendo i titoloni dei giornali scoprimmo che la sera prima, proprio mentre noi eravamo impegnati nella nostra seduta spiritica, era morto a Castel Gandolfo Papa Paolo VI, al secolo Giovanni Battista Montini; era evidente che Mario aveva voluto comunicarci la notizia in anteprima.


Sulla data della seconda seduta spiritica cui ho partecipato non posso essere preciso. Poteva essere il 1986 o il 1987, e non ricordo in che stagione, ma è probabile che fossimo in inverno, e sono quasi certo che fosse un sabato sera. Non dirò a casa di chi, non sarebbe elegante. Anche in questo caso non ricordo a chi sia venuta la brillante idea ma, fatto sta che mi ritrovai nuovamente con il dito appoggiato sul bicchierino. Nulla di che! Quel bicchiere non ne voleva sapere di muoversi e di darci soddisfazione. Incuriositi dalla nostra attività, i genitori della nostra amica, i quali gentilmente ci ospitavano, si affacciarono alla porta della stanza in cui ci trovavamo per capire a cosa ci dedicassimo. Quasi all'unanimità ci sentimmo preda dell'imbarazzo per esserci fatti cogliere in una simile circostanza, un po' come se ci avessero sorpreso con le mani dentro il barattolo dei biscotti; ma, con nostro grande stupore, notammo una reazione entusiastica della padrona di casa. Immediatamente ne capimmo la ragione: ci fu subito comunicato che la signora amava dilettarsi in tali pratiche, oltre al fatto di essere una medium di buon livello, almeno così diceva lei. Ma non solo! Come ci spiegò il marito in tono canzonatorio e suscitando in noi astanti una buona dose di ilarità, la signora sua moglie vantava natali di tutto rispetto, almeno per quanto riguardava la sua personale metempsicosi. Dichiarava, infatti, di essere la reincarnazione della figlia di Tutankhamon. Caspita! Mica roba da poco! Subito non potei esimermi dal fare un paio di ragionamenti. Il primo era che non mi risultava che il faraone avesse figli; era morto in giovane età e forse non aveva fatto in tempo a provvedere alla sua discendenza, ma potevo anche sbagliarmi non essendo allora, e tantomeno adesso, ferrato in storia egizia. Ma dando per buona che fosse davvero la reincarnazione della figlia di Tutankhamon, mi sorse spontanea un'altra riflessione: perché la principessa, dallo sfolgorante scenario della Valle dei Re, dai palazzi di Tebe, ora Luxor, e il nome già la dice lunga, si sarebbe trasferita con la propria anima nel corpo di una che era nata a Borgo San Martino, grigio e nebbioso paese della pianura alessandrina e poi andata ad abitare a Casale Monferrato, città del polverino d'amianto e del cemento? Forse perché era ghiotta di Krumiri, i famosi biscotti? Mah, vai a sapere! In ogni caso, e considerato inoltre che eravamo in grave difficoltà, accettammo l'aiuto della medium; anche perché sarebbe stato scortese se avessimo rifiutato poiché ci trovavamo ospiti in casa sua. Lei pose la mano a una ventina di centimetri sopra il bicchiere e quello dopo poco si mosse. Non ricordo quali messaggi arrivarono dall'aldilà ma non dovevano essere importanti. A un certo punto la medium propose di fare il salto di qualità e individuò in me e in un altro sventurato le persone più adatte, le più ricettive a proseguire nell'esperimento. Non chiedetemi perché proprio io; non lo so e non lo voglio sapere. Ci sedemmo allora noi tre, io, la medium, e l'altro, intorno a un tavolino a tre gambe. Caspita!, pensai. Qui si fa sul serio! Fatto sta che dopo poco il tavolino iniziò a muoversi e a sobbalzare. E non poco. Come fosse possibile non lo so, forse un difetto di fabbricazione. Anche in quel caso nessun messaggio di particolare rilevanza giunse fino a noi e abbandonammo il tripode tavolo per tornare al nostro bicchiere. Forte del successo che avevo avuto con il tavolino ero stato nominato medium pro tempore, anche perché nel frattempo la medium titolare se n'era andata, ed ero io quello che aveva su di sé l'onere di interrogare lo spirito. Il bicchiere viaggiava che era una meraviglia, ma non riscontrammo nulla di importante, tutte frasi con poco senso e di scarso interesse. A un certo punto, io mi stavo quasi annoiando, mi venne in mente di tentare un esperimento: senza dire nulla agli altri tolsi il dito dal bordo del bicchiere e dissi loro di continuare senza di me. Senza rivelare il mio proposito pensai a una parola che avrei voluto che il bicchiere componesse. La prima che mi venne in mente fu "cacciabombardiere", evitate di domandarmi il perché, ho detto che fu la prima che mi passò per la testa. Con mia grande meraviglia, lettera dopo lettera quella parola si formò sotto i miei occhi e sotto lo sguardo degli altri che il dito sul bicchiere l'avevano ancora, e non capivano perché fosse comparso quel vocabolo. Poi un'altra parola, e un'altra ancora, sempre buttata a caso, e sempre senza che gli altri comprendessero che cosa stava accadendo. Cavolo! Funzionava. Se mai esiste la trasmissione del pensiero, quello era un esperimento di telepatia collettiva perfettamente riuscito. Sono soddisfazioni, perbacco! Se in seguito ci avessi ragionato un poco su e mi ci fossi dedicato con un po' d'impegno, forse ora sarei un apprezzato e ricco santone. Pazienza! È andata in altro modo. Siamo giunti alla fine: una ragazza, forse perché stanca di quella secondo lei sterile attività iniziò a fare domande provocatorie e aggressive allo spirito, il quale in quel momento pareva fosse poco interessato a noi. Molto probabilmente quello, ossia lo spirito, se la prese a male tanto che il bicchiere s'inclinò, mi parve addirittura che si sollevasse, ed esplose in cento pezzi in faccia alla ragazza, ma senza causarle il minimo danno. A quel punto la seduta fu sospesa.


Un episodio particolare che ha visto come protagonista il sottoscritto e in assenza di testimoni m'è capitato a fine primavera del 2011. Ero a bordo del mio trattorino tosaerba e stavo tagliando una porzione di prato parecchio distante da casa. A un tratto ho visto affiorare tra l'erba alta un ramo, troppo grosso perché ci potessi passare sopra con le lame e triturarlo senza averne qualche danno. Allora ho spento il motore e sono sceso dal trattorino. Ho fatto qualche passo, mi sono chinato, ho raccolto il ramo e l'ho lanciato lontano, al margine del campo. Poi mi sono voltato per tornare al trattorino. In quel momento ho avuto la sensazione di essere cresciuto in altezza. La mia è una statura normale, non arrivo al metro e ottanta, ma in quel momento mi sentivo alto due metri. La terra era molto più distante del solito. Strano mi dissi, tanto più che non faceva così caldo da aver preso un'insolazione e nemmeno mi ero dilettato ad assumere sostanze alcoliche in misura tale da giustificare lo svilupparsi in me di alterate percezioni. Arrivai vicino al tosaerba e mi apparve molto più piccolo di quando ne ero sceso. Guardai verso la casa e vidi la mia compagna che era intenta a sistemare dei vasi di fiori. Volli condividere con lei quella strana sensazione; inoltre, continuando ad avvicinarmi sentivo che crescevo ancora. Ero convito in quel momento di essere alto non due metri ma molto di più: due metri e mezzo perlomeno. Ancora qualche passo e mi sentivo un gigante, ormai avevo superato i tre metri. Raggiunsi la mia compagna. Quando fui a poca distanza da lei, mi accorsi che lentamente cominciavo a rimpicciolirmi e a riprendere la mia statura normale. Una volta arrivatole di fronte, volli renderla partecipe e le dissi dello strabiliante episodio che mi era capitato. Lei mi guardò, fece una smorfia, le sentii pronunciare tra sé e a bassa voce: "... il solito deficiente!", e con grande tranquillità riprese a sistemare i fiori.

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