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Don Felix - incipit

DON FELIX Marcus L. Nolde

GIORNO UNO


Alfonso Felice Cassano, o don Felix com'erano soliti chiamarlo per semplicità i pochi che avevano a condividere le quotidiane vicende con lui, si muoveva nel suo ampio soggiorno in preda a una più che manifesta eccitazione. Da giorni una sempre più incalzante inquietudine si era impossessata del suo corpo e della sua coscienza, scavandone tra le più inaccessibili pieghe, e pareva non avesse volontà di allentare la presa. L'uomo, lungo, allampanato, non più giovane, in mano stringeva una copia fresca di stampa de Il Quotidiano Preferito, suo acquisto puntuale da tempi immemorabili; non una manifestazione di devoto e fedele attaccamento alla testata giornalistica, bensì un difetto di volontà, mascherato dalla consuetudine, una disposizione mentale pigra e ostile a qualunque innovazione. Rivolse un rapido sguardo d'insieme alla prima pagina. Storse il muso dai vaghi tratti equini ed emise un debole e prolungato sospiro. Aprì il giornale nel mezzo, a caso. Strizzò gli occhi, aggrottò la fronte, e solchi profondi comparvero sinuosi. Sollevò il labbro superiore rivelando gli incisivi, e il suo volto si espresse in una sofferente smorfia di disgusto. Saltando da un articolo all'altro lesse poche, desolanti righe. Ansimò, infastidito; il petto gli si gonfiò di sdegno. Lungo la sua gola si sollevò un principio di acido rigurgito; strinse i denti per trattenerlo. Avvertì un senso di nausea, ansia, un sentimento di avvilente impotenza. Deglutì con fatica. Richiuse il giornale e lo pose in cima a una colonna di altri quotidiani impilati con ordine sul piano in vetro di un basso tavolino. Decise di abbandonare quelle tristezze e di dedicarsi ad altro, avrebbe concentrato le proprie energie su un'attività più ripagante. Si voltò, e rapido, a fronte alta, si allontanò di un paio di passi; ma ebbe un ripensamento, si arrestò, grugnì, tornò indietro, e considerò la pila di carta e inchiostro. Ebbe un moto di stizza e dalla sua gola scaturì una soffocata espressione di sofferenza. ˗ Hugh, povera la mia patria! Povero il mio bel paese! Tra tutti, quello dove un tempo si stava meglio al mondo, e che ora è ridotto a poco più di un escremento di cane per colpa di quattro politicanti, di farabutti, di speculatori senza scrupoli, di avanzi di galera!… Mosse in modo repentino l'avambraccio, come a scacciare un insetto ripugnante e molesto, e con l'ossuto dorso della mano colpì la pila dei giornali; le copie, scrosciando, rovinarono a terra, sparpagliandosi. Il suo volto si contrasse in una maschera grottesca, e con ampie e decise falcate, abbandonò la stanza.

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