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"Le scimmie del tenente Nolde" - estratto. Quadro: "Seconda polveriera. Spari al crep

Nota: la foto del tenente Nolde risale al tempo in cui era allievo ufficiale, e pertanto al periodo in cui si sono svolti i fatti relativi a Forte Bravetta.


Seconda polveriera. Spari al crepuscolo, il soldato Alfonzi. Ricordi della Scuola di Fanteria.



Ero di nuovo in polveriera. Sdraiato sulla mia branda, leggiucchiavo svogliatamente una stupida rivista, quando sentii esplodere all'esterno e a una certa distanza un colpo di fucile. Non ebbi difficoltà a riconoscere il ben noto rumore del FAL, fucile automatico leggero, che avevamo noi tutti in dotazione. Subito pensai che qualche imbecille cercatore di funghi o tartufi si fosse avvicinato troppo alla recinzione e che qualcuno dei miei soldati, più imbecille ancora di lui e preso da eccessivo zelo, gli avesse sparato contro centrandolo in pieno. Mi alzai di scatto dalla branda e mi precipitai all'esterno del corpo di guardia, trovandovi un gruppetto di militari nel loro turno di riposo che fumavano e se la raccontavano in tutta tranquillità. ˗ Avete sentito lo sparo? ˗ domandai. ˗ Ah, quello! ˗ mi disse con aria svagata uno dei soldati. ˗ Non si deve preoccupare tenente... ˗ E perché non dovrei preoccuparmi? ˗ È soltanto Alfonzi... che spara ai conigli. ˗ Alfonzi che spara ai conigli?! ˗ Sì, ma stia tranquillo: ha una mira di merda e non è mai riuscito a centrarne neanche uno. ˗ Ah, beh... allora tutto a posto! ˗ e rientrai nel caseggiato per riguadagnare la mia branda. Con lo sguardo rivolto verso il soffitto, mi misi a pensare, e cercai di immaginare come il soldato Alfonzi fosse riuscito ad approvvigionarsi di munizioni supplementari per sparare ai conigli; infatti, ero sicuro che, finito il turno di guardia, al controllo e pertanto con conseguente conteggio delle munizioni non ne sarebbe mancata nemmeno una, segno di quanto fosse facile nell'ambiente militare approvvigionarsi di tutto, di armi, munizioni, bombe a mano, droghe, puttane... i soli articoli di difficile se non impossibile reperibilità in una caserma sono due: gli apribottiglie, perché spariscono immediatamente e gli ombrelli, perché non previsti dal regolamento. Mi dedicai poi a considerare quanto il soldato Alfonzi fosse un'autentica testa di cazzo, e ripercorsi, per quel poco che sapevo, la sua breve storia: era un fetentone alto un metro e novanta per novanta chili, quando era ancora minorenne aveva fatto irruzione in un ufficio postale, che tra l'altro si trovava a meno di due isolati da casa sua, non certo per fare una raccomandata o eseguire un vaglia telegrafico, ma per compiere una rapina. Insieme con altri due o tre giovani deficienti come lui e per di più armato di un fucile da caccia, probabilmente ereditato da un suo bisnonno dedito in tempi passati alla nobile arte del brigantaggio, aveva intimato al cassiere di consegnare tutti i soldi che vi erano in quel momento nell'ufficio, e che in seguito si sarebbero rivelati pochi spiccioli. Il cassiere, o perché preso dalla paura o perché deciso a non farsi fregare il bottino, aveva tergiversato facendolo innervosire; lui, pertanto, per velocizzare l'azione aveva pensato bene di sparare e di colpire quel poveruomo a una spalla, probabilmente la sua intenzione era di farlo secco, ma come giustamente fatto notare poco prima dai suoi commilitoni, aveva una mira di merda, e così il cassiere si salvò. Dopo una breve e ridicola fuga a bordo di biciclette e motorini furono acciuffati dalle forze dell'ordine e furono spediti in gattabuia. Mentre passava tra vari istituti divenne maggiorenne e per lui giunse il tempo di fare il servizio militare. Gli fu proposta una specie di libertà vigilata durante il servizio di leva, in pratica una sorta di periodo di prova: se durante il servizio si fosse comportato rettamente e non avesse creato problemi gli avrebbero ridotto o addirittura scontato del tutto la pena. Per lui un vero affare! La polveriera... che rottura di coglioni!, continuavo a pensare. E mi venne in mente un episodio di quando ero allievo ufficiale: il mio plotone era stato mandato a presidiare la polveriera di Forte Bravetta alla periferia di Roma. Ben diverso il contesto rispetto a quello in cui mi trovavo in quel momento: il forte era una vera e propria fortezza, con un nucleo principale al centro in cui erano custodite non si sapeva bene quali armi, e protetto tutto intorno da un ampio fossato dove scorrazzavano una decina di cani da guerra, un branco di bastardoni cattivi come pochi, che ti guardavano da sotto in su come a dire: "Le vedi queste zanne? Prova a mettere un piedino qui dentro e te lo stacchiamo con un solo morso, poi di te facciamo tante bistecchine!", un'immagine davvero inquietante. Costruito a fine '800, il forte, durante il periodo fascista, era stato adibito a luogo di esecuzione delle sentenze di morte del tribunale speciale di Stato. Al suo interno due anarchici furono fucilati rei di aver progettato un attentato ai danni di Mussolini, e durante il periodo di occupazione tedesca furono trucidati settanta o più partigiani per mano della Gestapo comandata da Herbert Kappler; già su di lui, su quello di cui si rese responsabile, il suo arresto, la sua fuga, avrei potuto scrivere un libro, forse due, forse anche tre, e poteva darsi che in futuro avrei preso in considerazione la cosa. Una notte io e la mia squadra eravamo di guardia, otto allievi in tutto se non ricordo male, ognuno posizionato in un punto diverso dell'area, chi in una garitta, chi sopra a un'altana. Poteva essere l'una del mattino. Io ero appollaiato in cima a una guardiola proprio di fronte a quella che di là del muro e ben visibile era chiamata "la casa del fantasma". Era un edificio abbandonato in cui di tanto in tanto si vedevano comparire strane luci... poeticamente chiamato in tal modo, in realtà era covo di tossicodipendenti e in certi casi luogo usato come scambio di denaro a fronte di partite di droga. Un bel momento sentii un gran baccano, un vociare indistinto, poi urla e strepiti. Sotto di me vidi correre il nostro ufficiale istruttore che prima si era ben preoccupato di farsi riconoscere in modo che io non gli sparassi e poi dietro di lui altri miei compagni che in quel momento erano di riposo. Sentii le parole: "Ci stanno attaccando! Vogliono entrare... Al cancello! Al cancello principale!"... Purtroppo io non potevo muovermi dalla mia postazione e non riuscivo a seguire quanto avveniva dalle parti dell'ingresso. Quando smontai dal mio turno, la situazione era tornata alla normalità e mi raccontarono quanto era successo: un gruppo di allegroni, completamente ubriachi, forse perché antimilitaristi, o forse perché solo degli imbecilli, avevano pensato bene di dare l'assalto a Forte Bravetta, e per farlo avevano, fortunosamente per loro, scelto l'ingresso principale, uno dei rari tratti in cui non vi era elettrificazione. Uno di questi si era arrampicato sul cancello urlando non si era capito bene quali frasi ingiuriose e non sapendo che un mio compagno di corso, fiancheggiato dall'ufficiale istruttore, lo stava tenendo sotto tiro. Il momento era di grande tensione, principalmente per il mio compagno, perché alla scuola di Fanteria vi era una regola non scritta che diceva che se durante un turno di guardia qualcuno cerca di violare un limite invalicabile, il militare, dopo aver eseguito tutta la prassi e le intimazioni di rito: l'alt! - L'alt! Chi va là? - L'alt! Chi va là? Fermo o sparo!, era autorizzato ad aprire il fuoco e che se l'intruso cadeva fuori dal limite era considerato omicidio, mentre se cadeva all'interno del perimetro in cui non avrebbe dovuto mettere piede era considerata cosa ben fatta e dava diritto al militare di usufruire di quindici giorni di licenza premio, ricompensa più che ambita poiché durante il corso allievi ufficiali di licenze non ne erano previste, se non di poche ore e per gravi motivi. Purtroppo al mio compagno andò male, nel senso che a un certo punto, forse perché gli assedianti avevano capito che stavano per essere impallinati e che molto probabilmente ci avrebbero rimesso la pelle, avevano desistito. Il deficiente era sceso dal cancello e insieme ai suoi compari se ne era andato via, probabilmente a far danni altrove, in qualche luogo meno pericoloso dove non avrebbe rischiato una fucilata. Smisi di pensare a quell'episodio di Forte Bravetta e tornai a considerare dove mi trovavo: in quella polveriera dove per somma fortuna non esisteva la regola dei quindici giorni di licenza premio in caso di fucilata e relativa caduta del soggetto all'interno del perimetro proibito, perché se così fosse stato quelli che avevo sotto di me sarebbero stati capacissimi di andare a prendere un disgraziato qualunque, sparargli, lanciarlo oltre la recinzione, e soltanto per avere la licenza premio.

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